Memorie perdute e fotografie

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Novembre 2020


La funzione memonica è insita nella fotografia fin dalle sue origini. Nel XIX secolo (e oltre) essa è stata utilizzata principalmente per ricordare, fissare e trasmettere avvenimenti storici, politici o personali. Per il suo forte potere evocativo, la fotografia cristallizza ricordi, collega eventi lontani, intreccia storie e trova nuovi significati alle cose.
“Tutte le foto che le persone scattano e tengono, sia per scopi artistici o semplicemente le proprie comuni foto personali o familiari, sono proprio come “specchi della memoria”, che servono come segnali di quello (e di chi) è stato più importante, e più tardi come talismani che trattengono lo svanire del tempo che avanza. ” (J. Weiser).
Negli anziani affetti da demenza, patologia che causa la perdita delle capacità cognitive, dell’autonomia e lo smarrimento della propria identità, il passato diventa l’unico presente possibile e nei casi di grado lieve-moderato far osservare fotografie può essere un utile mezzo per far riemergere in loro emozioni, pensieri e vissuti. Ne sono un luminoso esempio le fotografie degli album di famiglia, una delle tecniche di Fototerapia esposte dalla psicologa e arteterapeuta Judy Weiser nel suo “PhotoTherapy Technics – Exploring the Secrets of Personal Snapshots and Family Albums”. Ricordo brevemente che la Fototerapia è la fotografia in terapia, ossia praticata dagli psicoterapeuti formati nell’uso della fotografia nelle relazioni d’aiuto, mentre la Fotografia terapeutica è la fotografia come terapia, utilizzata da persone che non sono terapeuti per affrontare, comprendere e trasformare un momento di difficoltà.
Le fotografie degli album di famiglia ricordano momenti e luoghi significativi nella storia di una famiglia, persone dimenticate, segreti, miti e aneddoti e possono essere una vera “terapia della reminiscenza”, atta a stimolare la memoria autobiografica mediante la rievocazione di eventi passati ed esperienze che hanno arricchito un’intera esistenza. La reminiscenza stimola la memoria e permette alle persone di recuperare il rapporto con il proprio Sé e migliorare la qualità della loro vita.
La mia amica Beatrice Rovai, assistente sociale specializzata in Fototerapia e fotografia terapeutica, ha realizzato assieme a Ilaria Belli un intenso progetto dal titolo: “Parole e immagini: la vita diventa un romanzo”, nato dalla volontà delle autrici di recuperare il mondo privato degli ospiti di 5 residenze per anziani (RSA) del territorio del comune di Bagno a Ripoli (FI). La fotografa ha cercato di narrare le loro vite mettendo insieme immagini di ieri e di oggi. Dalla visione delle fotografie del passato è nato il racconto di frammenti di storie personali e pezzi di vita.
Un altro progetto fotografico molto interessante, che tratta invece della perdita dell’identità causata dall’Alzheimer, è quello di Alex ten Napel, che ha realizzato una serie di ritratti in bianco e nero a Wittenberg, una casa di cura per anziani ad Amsterdam. Il fotografo olandese ha evidenziato come la malattia si rifletta sui volti delle persone coinvolte: “L’Alzheimer ci mostra l’esistenza umana senza abbellimenti. La demenza può spaventare e purtroppo le emozioni finiscono con il confondere i pazienti… e anche noi”.
Consapevolmente o no, le fotografie ci aiutano ad entrare in contatto con noi stessi più profondamente, e in alcuni casi ci fanno da terapia.
Due lavori in cui questo mi appare evidente sono quello di Mark Seymour, intitolato “Vivere con la demenza: un’armonica per Ronnie” e “Qui è tutto oro!” di Michela Mariani.
Attraverso i suoi scatti, Seymour ha documentato gli ultimi 4 anni della sua vita e il declino di suo padre Ronnie, affetto da Alzheimer, prima a casa, poi in ospedale e infine nella casa di cura. Nonostante le tante difficoltà, dentro gli occhi del padre c’erano ancora dei ricordi che sembravano luccicare, legati alla moglie Winnie, alla sua famiglia e a un oggetto che aveva suonato e amato da sempre: la sua armonica.
Michela Mariani, invece, in modo poetico e commovente, con la fotografia ha tentato di creare un codice comunicativo nuovo fra sé e sua madre Maria Grazia, malata di Alzheimer, per tenere aperta una porta ed entrare in contatto con lei. Per 6 mesi le ha messo in mano la fotocamera, per cercare di capirla, capire cosa guardava e vedere il mondo coi suoi occhi. E per ritrovare ancora la sua essenza, nell’assenza. “A volte quando inquadri mi dici: . Tu cerchi ancora l’Oro. Ora so, mamma, che nella tua essenza, nella tua ricerca di luce e di vita, sei rimasta sempre la stessa.”

1. Qui è tutto oro, Michela Mariani
2. Immagini e parole: la vita diventa romanzo, Beatrice Rovai
3. Forgotten life, Alex ten Napel
4. Vivere con l’Alzheimer, un’armonica per Ronnie, Mark Seymour