Vedere a colori

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Il 3 Maggio 2020 inauguravo questa rubrica fotografica intitolata CAMERA CON VISTA, termine che si presta a svariate accezioni e cita un celebre romanzo di E. M. Forster.
Costretta dalla pandemia a stare a casa, molto tempo l’avevo trascorso davanti al pc, a vedere immagini, leggere, scrivere, studiare. Di tanto in tanto avevo bisogno di sollevare lo sguardo e di rivolgerlo verso l’esterno, oltre la finestra di fronte, dove l’immaginazione poteva viaggiare libera. È stato durante questo lungo periodo di attesa che è maturata l’idea di scrivere un articolo al mese e di creare uno spazio di riflessionesu svariati argomenti che ruotano attorno al mondo della fotografia.
In quella domenica che segnava anche la conclusione della fase 1 del lockdown avevo pubblicato il primo e per il primo compleanno di “Camera con vista” ho pensato di dedicarle un po’ di colore.
Maggio 2021

Noi vediamo i colori esclusivamente per il fatto che i corpi ricevono la luce. I colori non ci appaiono mai identici e non sono mai puri in quanto, a seconda di come cadono le ombre sugli oggetti, i cambiamenti chiaroscurali, essi si confondono e si contaminano l’uno con l’altro. E con loro muta anche l’aspetto dei paesaggi, delle acque e di tutte le cose. Inoltre, la percezione del colore è un fenomeno complesso che coinvolge la fisica della luce, la natura della materia, la fisiologia dell’occhio e la sua interazione con il cervello: ognuno di noi, come una lastra sensibile, lo traduce in una determinata visione attraverso la propria personalità e il proprio vissuto.
Quando la luce colpisce un oggetto, ne segue una sua riflessione sull’organo di senso della vista (l’occhio); gli stimoli luminosi raccolti dai fotorecettori vengono poi trasmessi al sistema nervoso centrale e qui sono elaborati e organizzati affinché possiamo percepirli. Ciò che definiamo colore, quindi, in realtà non è ciò che sta nell’oggetto ma quel che viene creato nella nostra mente e a cui diamo un nome. I colori si appellano all’interpretazione e per la loro natura, impossibile da delimitare o classificare esattamente, restano sempre un po’ enigmatici.
La fotografia a colori nasce tra il 1889 e il 1935. Il fotografo, che fino a quel momento aveva utilizzato solo il bianco, il nero e le tonalità del grigio, deve imparare una nuova grammatica, ossia accostare i colori in modo da “dipingere” il fotogramma come il pittore la sua tavolozza. Inizialmente accolta con scetticismo, in quanto si pensava che i colori avrebbero tolto autenticità alle immagini, rapidamente la fotografia a colori diventa uno vero status symbol.
E’ noto per questo genere il fotografo William Eggleston (1939), che, partendo da soggetti banali, crea un’arte provocatoria, colorata e innovativa. Anche l’italiano Franco Fontana (1933) è un grande fotografo le cui immagini sono legate all’uso del colore, per esprimere emozioni e interpretazioni. Altro fotografo famoso è Martin Parr (1952), che usa sempre colori molto saturi che enfatizzano il lato umoristico dei suoi lavori. Infine, nel novero, non può mancare Steve McCurry (1950), recentemente in mostra a Cagliari con ben 100 scatti: “Steve McCurry – Icons” (Palazzo di Città, dal 13 giugno 2020 al 31 marzo 2021).
Noi fotografi, a differenza dei pittori, non abbiamo il controllo diretto sui colori, ma possiamo inquadrare in modo tale da scegliere quali inserire o escludere durante la fase di composizione dell’immagine. L’accostamento dei colori, da cui dipende il tono della fotografia, può puntare sui contrasti o sull’armonia, ma il suo risultato deve essere sempre equilibrato.
Resto convinta che in fotografia parlar bene il linguaggio potente e complesso del colore non sia semplice, e non basti neanche conoscerne l’alfabeto, la grammatica e la sintassi. Probabilmente non è neanche per tutti perché non tutti riescono a “vedere a colori” e, alla fin fine, ognuno è capace di esprimersi veramente solo su ciò che gli appartiene fino in fondo.
Il mio linguaggio fotografico principale è il bianco e nero, ma amo tutta la fotografia e quella a colori rappresenta per me un’occasione per ampliare orizzonti conoscitivi e sperimentarmi in nuove sfide creative. A seconda dello stato d’animo del momento, alcuni colori mi permettono di esprimermi più di altri. Talora mi è utile scegliere un colore vivace che domina sulla predominanza di colori tenui, altre volte invece, per ricreare un’atmosfera particolare o la magia di un paesaggio, non rinuncio a una luce calda oppure fredda o livida* e mi guardo bene dall’eliminarle con il bilanciamento del bianco** .
Le fotografie cinematografica e televisiva, per esempio, sfruttano molto le dominanti colore che, aggiungendo capacità espressiva e comunicativa alle immagini, sollecitano l’osservatore a “sentire” con più forza determinate emozioni, positive o negative. Perché ad ogni colore è sempre legato uno stato d’animo e “i colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni” (P. Picasso).

Note:
* la dominante cromatica è una tinta che interessa e altera l’intera immagine, per esempio una foto che vira tutta sul rosso, sul verde, sul giallo o sul blu
** processo che consente di rendere naturali i colori delle fotografie, togliendo le dominanti cromatiche quando sono presenti nella luce